domenica 8 febbraio 2009

Le crociate e le libertà (post scritto di getto, sotto la rabbia dei notiziari)

Io non vorrei che mi staccassero la spina. Dico questo non per esprimere un disaccordo con la famiglia Englaro, anzi ... Io non vorrei che mi staccassero la spina, ma la staccherei personalmente a qualcuno che mi avesse chiesto di farlo.
In questi giorni si legge di tutto.
Tra quelli contrari alle procedure per interrompere l'alimentazione e l'idratazione leggo, sopra ogni altra cosa, che la vita è un dono e non possiamo decidere noi quando interromperla. Non sono d'accordo. La vita è un dono che capita a ciascuno di noi. Un dono personale. E siamo solo noi che possiamo decidere cosa farne, nel momento in cui siamo in grado di decidere. Non ci possono espropriare della nostra vita e delle decisioni su di essa.
Leggo poi che la vita è sacra e mi chiedo perché allora alimentiamo ogni giorno un meccanismo che non considera la vita di tanta gente. Mi chiedo perché accettiamo di campare in una situazione piena di lussi e privilegi, sapendo che questo costa la povertà di molti altri e in definitiva la morte e la sofferenza di interi popoli. Inoltre sembra essere sacra solo la vita dell'uomo, mentre le altre (quelle che non sono utili al nostro quotidiano) sono completamente svalutate. Me lo chiedo provocatoriamente, perché lo capisco benissimo. Anche per me la vita (mia e delle persone a cui voglio bene) è sacra, ma so benissimo che non è un diritto, che non mi è dovuto nulla e che il caso (o la necessità) possono portamela via in un istante. Forse dobbiamo smettere di sacralizzarci tanto.
Leggo la preoccupazione di molti che hanno letto statistiche sui cosiddetti "risvegli" di persone in stato vegetativo da anni. Se la stiamo ammazzando e invece si sarebbe risvegliata? E se invece non si svegliasse mai, ma soffrisse ogni giorno per la sua condizione? Chi può prendersi la responsabilità di decidere?
Ognuno per se. E' l'unica risposta che penso possibile. Io l'ho sempre detto: non vorrei mi si staccasse la spina, ma vorrei che mi si leggessero libri, che mi si mettessero filmati, documentari, ecc ... Questa è la mia sensazione, il mio testamento biologico. Però non è una posizione a priori.
Capisco perfettamente chi invece dice "staccatemi la spina".
Tutto questo comunque non è l'oggetto del contendere di questi giorni. Non c'entra niente la sofferenza di Eluana Englaro, né la straziante crociata dei suoi parenti, che non hanno diritto alla pace.
La cosa più preoccupante che ci riguarda tutti è che siamo finiti in un gioco di forze, nella strumentalizzazione di un fatto di cronaca qualunque, che però va a toccare le nostre paure sociali.
Io non credo davvero che lo Stato possa intromettersi in una questione così delicata. Né tantomeno una chiesa, che in definitiva vede dopo la morte un paradiso e una vita eterna, quindi non si capisce perché ci debba tenere tanto a lasciarla qui a soffrire (direi che ormai il suo posticino al sole se lo sia già guadagnato, no?).
Tuttavia non credo come molti che questa sia un'ennesima ingerenza di Benedetto XVI nelle leggi del nostro Paese. Anzi l'ingerenza c'è, ma non è quella la cosa che mi spaventa.
Quello che mi fa incazzare (non mi indigno più, ora mi incazzo e basta) è che tutta questa vicenda viene usata per mettere un piede nelle nostre porte.
E tutti a dibattere della questione "giusto/non giusto" mentre qualcuno si appropria delle nostre libertà e modifica le leggi che ci hanno permesso di essere, nel bene e nel male, una Repubblica.
Questo non riguarda più Eluana Engrado e la sua famiglia, che magari ora meriterebbero solo silenzio e pace. Questo riguarda tutti noi e si deve essere completamente ciechi per non capirlo.
Ammiro Napolitano per essere andato contro alle decisioni del governo, anche se mi sembra di assistere ad una missione suicida. E' da parecchio che Berlusconi sfida il colle e stavolta c'è riuscito in pieno. Però almeno un esempio di moralità Napolitano ce l'ha data. Ma basterà?
In questo ritorno ad un medioevo oscurantista temo proprio di no.

Ringrazio Marcello per il lavishly Blue Klein

Invito tutti a leggere e firmare l'Appello dell'Associazione libertà e giustizia

mercoledì 7 gennaio 2009

Petit cadeau




Oggi arriva un piccolo dono per l'anno nuovo. E' un pensiero che viene da Epicuro. Per me è soprattutto il ricordo di una vacanza in barca e del mantra che veniva ripetuto quando ci si dava una martellata sul dito ... ma nel tempo è diventato qualcosa di più, che a volte serve nei momenti di difficoltà, quantomeno per ricordarmi di sorridere.
La traduzione è quella di Giups :)

Il dolore è sopportabile
Il bene è naturalmente attraente
La paura degli Dei è assurda
La paura della morte è assurda

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assurda ...

Irrisolto ...

Da giorni mi dibatto nel dilemma sullo scrivere o meno un post, che mi sta qui sul gozzo, ma che non ho bene nella mani. La guerra è un argomento difficile. La questione medio-orientale è una questione spinosa. Io semplicemente non ho la competenza necessaria. Quello che tremendamente mi fa rabbia è che mi sembra di vedere moltissima gente che non ha la competenza e che invece apre bocca e gli da fiato o fa scorrere le dita così, come se nulla fosse. Giudizi pesanti. Schieramenti quasi da stadio. Divisione di buoni e cattivi. E l'idea diffusa, secondo me completamente errata, che sia una questione di altri, in cui noi non ci si entra se non per giudicare, in cui noi non si ha alcuna responsabilità.
Io non riesco a vedere dei buoni dove molti vedono dei buoni. Non riesco a vedere dei cattivi dove molti vedono dei cattivi. Io non riesco a vedere atti ingiustificati, freddi, lucidi.
Quello che vedo è che da quassù sulle braci di quell'odio gli si da una bella soffiata. Ma senza cognizione di causa.
Se nel 2009, a Roma, in pizzeria, c'è ancora chi mi si mette a discutere la legittimità dello Stato di Israele, non vedo come si possa andare avanti per tentare di dirimere una matassa così difficile e complicata. E soprattutto di sbrogliarla.
Così questo "grumo" resta irrisolto in me, senza alcuno sfogo. Perché io davvero non ho gli strumenti né la capacità di portare avanti questo discorso. Ma se non lasciavo nemmeno questo accenno non potevo proprio andare avanti ...

martedì 16 dicembre 2008

Gli amici ritrovati














Una delle peculiarità di questo periodo è il ritrovare gli amici. Non sto parlando solo di ciò che avviene in Internet e non sto parlando solamente di amici che non si vedono da anni e anni e anni.
Mi sta accadendo, ormai da qualche mese, di ritrovare amicizie, anche con persone che avevo continuato a frequentare nel tempo, ma che per un motivo o per un altro, non sentivo più tanto affini, vicine e intime. Oltre a tanti amici che mi ero persa lungo la strada (digressione breve: in this great future, you can forget your past?).
E' bello ritrovare gli amici.
E non succede solo a me. Non faccio che sentire di riunioni di scuola e di cene con ex compagni di qualcosa. Ammetto che il social-network-che-non-deve-essere-nominato abbia contribuito non poco a questa moda del momento. Ma non riesco a capire quanto ne sia carnefice e quanto, invece, vittima. Credo che la possibilità di vedere che fine abbia fatto tizio sia stata la sua grande fortuna.
Intorno ho anche persone (ad esempio il marito divano-residente) che sostengono tesi denigratorie del tipo: "se non li ho più sentiti ci sarà un motivo", "vuol dire che non eravamo poi tanto amici" e "mica ci si può portare appresso chiunque".
Io però non sono d'accordo. A parte le ovvietà dei momenti della vita, per cui strane coordinate spazio-emozionali condite da pippe mentali varie, ci fanno allontanare da questo o quest'altro, secondo me ci si perde per strada per tanti motivi. La routine. La distrazione (che fa perdere intere rubriche telefoniche). Il timore.
E poi, soprattutto quando si parla di amici di gioventù (che brutto suono), le cose diventano ancora più insensate.
Nel primo quarto di secolo si tende a dare le relazioni per scontate. Anzi si tende a pensare che il fato ci farà incontrare. Si è sempre in attesa di qualcosa quando si è giovani. Si attende di cominciare la vita e non ci si preoccupa di mantenere le relazioni, perché non si sente nessuna precarietà nel futuro, solo qui e ora. Ci si concentra sul qui e ora e intanto il tempo va avanti. E di sottofondo rimane quel sentimento di attesa.
Poi un giorno ci si ritrova con dei figli, un lavoro, una casa e quel sentimento d'attesa appare completamente inutile. Siamo già nella vita, mani e piedi e non ce ne eravamo nemmeno accorti. Forse perché non era affatto come nell'immaginazione.
Prende uno strano senso di spaesamento, la sensazione di essere stati buttati su un palcoscenico senza essere pronti e avendo studiato un altro copione.
Allora gli amici, le persone interessanti che fino a ieri pensavamo di poter incontrare in qualsiasi angolo, diventano quasi impossibili. Percezioni sbagliate forse, ma ... si fa fatica a coltivare anche quelli che, un po' per casualità un po' per scelta, fanno parte del nostro più ampio oggi (non più qui e ora).
Ecco allora che incontrare un compagno di classe delle medie al cinema non è più una stranezza normale.
Molte persone però ci rimangono dentro, nei modi di dire, nelle associazioni con l'esterno, nei sapori e negli odori. A volte non ce ne rendiamo nemmeno più conto.
Molti ricordi si assopiscono, ma sto scoprendo che non si cancellano (molti altri sì ... temo indelebilmente).
Io poi mi porterei appresso sempre tutti.
Non sono una conservatrice, mi piace conoscere gente nuova, cambiare abitudini e fare nuove esperienze. Ma non ho la minima intenzione di buttare quello che già conosco. Sono un'accumulatrice, ecco. E di conseguenza una casinista.

Però ritrovare molti amici e avere una possibilità di relazionarmi con quello che sono diventati (riscoprendo antiche affinità) mi diverte moltissimo.
detesto i raduni alla "compagni di scuola", ma sono proprio soddisfatta dei miei ritrovi virtuali.
D'altra parte mi chiedo che impressione mi farà vedere degli adulti al posto di quelli che mi ricordo ragazzini e che, nonostante le foto con qualche ruga e qualche capello bianco, continuo a pensare con voci di ragazzini e movenze di ragazzini mentre chattiamo e ci scambiamo quintali di posta. Chissà ... ve lo saprò dire tra una settimana!

Ok, le immagini sembrano non essere più correlate con gli argomenti, ma ... ne siamo davvero sicuri? Stavolta è Seraut!

lunedì 15 dicembre 2008

Il vuoto delle pagine non scritte


E' da un bel po' che non scrivo sul blog. In realtà ho iniziato nuovi post, ma poi non li ho finiti e sono rimasti li, ad occupare spazio virtuale e a rimproverarmi silenziosamente. Perché c'è sempre un tacito dissenso quando vogliamo fare un qualcosa e poi invece non lo facciamo, ed è un dissenso diverso da quando non facciamo un qualcosa che dobbiamo fare. Deludere le aspettative degli altri non è gradevole, almeno per me. Ma deludere le proprie ... è un altro paio di maniche.
Quindi man mano che il tempo passava il blog diventato qualcosa di fastidioso, un pensiero da rimuovere. Così ho smesso di leggere anche gli altri blog, aggiornandomi solo ogni tanto. Ma la blogsfera mi manca.
Quindi stasera (anzi stanotte, visto che sono quasi le 2.00) mi sono decisa a tentare di spezzare questo circolo vizioso ed eccomi qua, ovviamente senza nulla da scrivere perché in questi momenti a me non viene in mente nulla e se avessi rimandato al momento di avere una buona idea, avrei finito solo col procrastinare. E sarebbe stato inutile riprendere dei post già iniziati e mai finiti.Non funziona.
Ora questo è un primo passo. Se riuscirò a riscrivere nei prossimi giorni magari questo meccanismo si sbloccherà e tornerò ad esprimere qualche nuovo concetto, non riassumibile in una frase detta in terza persona (tipo "Valentina si perde in pensieri stocastici e cucina le uova").
Questo per ora è tutto, il mio primo e stentoreo passo. Ma, si sa, domani è un altro giorno ...

Ho scelto per questo post un immagine di Burri sia perché rende bene l'idea, sia perché quando ho messo Rothko mi metteva gioia capitare sul blog ... vediamo che effetto fa questo ...

venerdì 7 novembre 2008

Che figura

Vabbè, la notizia si commenterebbe da sola in qualsiasi parte del mondo. Ma non qua. Perché noi quest'uomo lo abbiamo eletto, gli abbiamo permesso di entrare in politica e di rimanerci, perché noi a quest'uomo non gli leviamo la cittadinanza. Perché questo Paese è davvero in ginocchio.
Non credo che ci sia da discutere sull'inopportunità di chiamare "abbronzato" il nuovo presidente degli Stati Uniti. Era una battuta pessima e di cattivo gusto, unico commento ad un evento che sta segnando l'intera storia dell'umanità.
Personalmente non credo che l'eccezionalità di Obama sia nel colore della pelle.
Così come non credo che il chiamarlo "abbronzato" sia scandaloso perché fortemente razzista.
E' scandaloso perché è una battuta di cattivo gusto, dubbia e soprattutto superficiale, fatta dal nostro capo del Governo in una conferenza stampa ufficiale.
Non è la prima, né sarà l'ultima, ma non credo sia difendibile (nemmeno le altre lo erano).
Le critiche sono dovute, ma Berlusconi non la pensa così. Chi lo critica merita la laurea da coglione, è un imbecille e se ne può andare affanculo. Parole sue, non mie.
Questo è ancora più grave, perché insultare pubblicamente le persone che la pensano in maniera diversa non è elegante (ma che Berlusconi non abbia nemmeno un briciolo di eleganza lo sapevamo da sempre), né sintomo di lucidità, qualità indispensabile per uno che è a capo di un Paese.
Grave anche il tentativo di giustificazione da parte dell'ambasciatore italiano negli Usa. Ha tentato di spacciare la parola abbronzato come "aggettivo per definire una persona in buona salute". Quindi, come si dice a Roma, ha tentato anche di coglionarli.
Oggettivamente al posto suo non dev'essere stato semplice ... io avrei tentato di mimetizzarmi con la tappezzeria pur di non dover rispondere di una gaffe di questa portata.
Però il nostro capo del Governo e i suoi sgherri minimizzano, anzi attaccano, cercando di risolvere in un nonnulla questa e le altre battute di Berlusconi. Come se bastasse dire "era uno scherzo, una carineria", per cambiare le cose. Oppure sparare a zero sull'opposizione per far svanire la figura di merda.
In Italia questa strana strategia funziona abbastanza da far credere ai lobotomizzati (ormai milioni) che ha ragione e che non è grave quello che ha detto. Che Berlusconi è una vittima.
Ma come si fa???
Voglio mettere di seguito qualche link e qualche dichiarazione su come questo episodio viene visto dalla stampa internazionale, così per avere un'idea esterna sul pozzo in cui siamo finiti.
Ho messo solo le testate di cui mi è venuto prima il nome, ma penso che ce ne siano tante tante tante altre.

Washington Post:

Praise for 'Suntanned' Obama

Italian Prime Minister Silvio Berlusconi welcomed Barack Obama's election, citing among his attributes his youth and appearance. Speaking at a news conference in Moscow, the 72-year-old media tycoon said, "I don't see problems for Medvedev to establish good relations with Obama, who is also handsome, young and suntanned."

Herald Tribune

Le Figarò

El Pais

Segnalo poi questo blog del New York Times dove hanno risposto migliaia di italiani per scusarsi con Obama per le parole di Berlusconi.
Ah ... dimenticavo. W Obama!!!

Aggiungo poi l'indirizzo dei link, che non riesco a caricare (fate copia e incolla, please).

Le Monde:

http://www.lemonde.fr/archives/article/2008/11/07/consternation-en-italie-apres-la-blague-de-berlusconi-sur-obama_1115916_0.html

http://www.lemonde.fr/archives/article/2008/11/07/les-bronzes-par-robert-sole_1116110_0.html

Times:

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/us_and_americas/us_elections/article5100973.ece

(questo non è sulla gaffe con Obama, ma è comunque interessante)
http://www.timesonline.co.uk/tol/news/world/europe/article5062867.ece

Financial Times:

(non è su Berlusconi, ma su Obama, con uno scambio di battute finali molto interessante in cui a Berlusconi si risponde .... andatelo a leggere)
http://www.ft.com/cms/s/0/c5434d86-ac6f-11dd-bf71-000077b07658.html

domenica 26 ottobre 2008

Poetica degli spazi geometrici




A me dispiace sempre un po' quando viene denigrata la geometria. Perché secondo me la geometria non è, come nell'immaginario comune, una sfilza di regole da imparare a memoria su come si calcola un'area o un volume, anche se nel tempo ho imparato ad apprezzare tali regole, che secondo me sono un magnifico esempio dell'ingegno umano, molto più delle pindariche trovate di Mc Gyver. La geometria mi emoziona e mi propone visioni che hanno molto più dell'estetico che dell'aritmetico. Basti pensare alla retta, che noi schematizziamo con una rozza linea di matita su un foglio. Beh ... quella retta è davvero una cosa diversa da quella linea. Innanzitutto è infinita, non inizia da nessuna parte e non finisce da nessun'altra e questo, se ci pensate un po', già fa venire le vertigini. Poi quella retta non ha spessore. Quando noi disegniamo la linea con la matita in quel segno ci abbiamo acciaffato un'infinità di rette parallele, perché la retta non ha alcuno spessore percepibile, è fatta di punti e i punti esistono senza avere alcuna dimensione. E costruiscono tutto il resto, sempre senza avere alcuna dimensione. E noi invece pensiamo a dei pallini, in fila uno dietro l'altro a formare una fila che sarebbe la nostra retta. Niente di più sbagliato, tra due di quei puntini ce n'è sempre un altro, e sempre è così, quindi per quanto cerchiamo di zoommare nella visione della nostra retta, e di entrare nell'infinitamente piccolo, ci ritroviamo una situazione sempre identica, tra due punti ce ne sono sempre infiniti altri, lo spessore è sempre uguale, e sia a destra che a sinistra non se ne vede la fine. Affascinante, no?
E tutte queste rette vanno a riempire lo spazio (esattamente come tutti quei punti vanno a riempire le rette), sia esso uno spazio bidimensionale o tridimensionale (anche più grande volendo, ma tanto nessuno di noi riuscirà veramente ad immaginarlo uno spazio geometrico con più dimensioni). E la parola spazio perde la sua sideralità, la sua vuotezza. E nella mia mente lo spazio si popola di infinite righe che connettono due punti a caso, di balletti di rette che formano figure geometriche danzanti come gli stormi di uccelli che popolano il cielo in autunno. O se volete come i vecchi salvaschermi di windows, che però sono molto meno poetici.
La geometria per me è questo: una danza, un'evoluzione, uno scivolare di dimensioni, un riempimento di spazi, uno svuotamento dalle compressioni.
Col tempo, accettando di non poter visualizzare, ho imparato a percepire gli spazi geometrici. E ne sono rimasta sempre affascinata. La geometria non si può esaurire nei parallelepipedi. Nella geometria ci sono gioie infinite, come la topologia, disciplina per la quale una sfera è un oggetto completamente diverso da una sfera senza un punto, ma tra quest'ultima e una tazza non vi è differenza alcuna. Involucri che cambiano di forma senza alcun problema, a patto di non essere mai tagliati, incollati o superstrizzati. Superfici con due facce apparenti che in realtà puoi percorrere senza staccartene mai. Non mi sorprende affatto che Escher sia riuscito a fare con la geometria delle vere e proprie opere d'arte. Per me le bottiglie di Klein o i nastri di Moebius (particolari figure geometriche) hanno una bellezza struggente. E non capisco come si possa provare paura in un mondo popolato di ciambelle, arance, tori e festoni.
Purtroppo però questi mondi, che riempiono libri e libri (direttamente o indirettamente) non entrano che di rado nelle nostre vite. E la loro bellezza rimane un mistero non riconosciuto, per cui pochissimi sono disposti ad ammettere che c'è un'estetica intrinseca nella matematica commovente quanto un Raffaello o potente come un Rothko.
E se dico che mi posso sciogliere in un pensiero topologico come nel requiem di Mozart, vedo dall'altra parte uno sguardo compassionevole di chi ammira la passione, ma pensa che sia una mia trovata per mettere allo stesso livello queste sterili materie con cose sublimi come l'arte e la musica.
Quello che lo sguardo compassionevole non percepisce è la mia tristezza. Perché a quella mente, per illuminata che sia, sono precluse altre forme di piacere e di appagamento.