mercoledì 7 maggio 2008

Risposta a Silvia (il mio contributo,solipsistico, alla discussione sul '68)

Niente ... il piccolo post di oggi non mi ha dato nessuna soddisfazione. Sono rimasta col mio coacervo di rimurginazioni interiori senza poter sfogare una mazza. Mi sono poi imbattuta in una lettera su Repubblica. La donna che l'ha scritta racconta della sua personale esperienza come figlia di sessantottini, della delusione personale subita da genitori che volevano cambiare il mondo, ma che non hanno fatto altro che abbandonarla ai nonni e calpestare la sua autostima. La sua riflessione sul '68 è che non si può fare di quel periodo una mitologia intoccabile e che il non saper cambiare le cose nel piccolo ha reso il movimento poco credibile e rispettabile nel grande.
Questa lettera si va ad inserire in una più ampia discussione di Repubblica su quegli anni. Non so bene perché abbiano voluto intraprendere questa strada, ma è un discussione molto viva e aperta.
Ho letto un po' di articoli e commenti e, ovviamente, mi è venuto l'impellente desiderio di dire la mia ^__^ D'altronde è proprio questo il segreto del successo di forum, trasmissioni televisive, blog, ecc ... ti danno l'opportunità di dire la tua.
Ho provato quindi a postare un commento sul forum della discussione, ma ... per motivi tecnoburocratici legati alla registrazione e alla cancellazione di precedenti indirizzi email, non ci sono riuscita.
Ammetto di aver abbandonato alla prima parvenza di difficoltà.
Tuttavia ho continuato a rimurginare e a provare insoddisfazione. Quindi eccomi qua per un nuovo fantastico, splendido sfogo sul blog ^__^
Visto che il preambolo è già stato abbondantemente prolisso credo che questo post abbia le carte in regola per essere il più logorroico della mia breve carriera di blogger!!!
Rispondo alla lettera in questione (è più forte di me):

Cara Silvia,
alla tua testimonianza contrappongo la mia. Sono nata nel 1971, quindi anche io non posso ricordare proprio nulla del '68, però, come nel tuo caso, le influenze del movimento nella mia famiglia mi sono ben chiare. Mio padre lavorava in ambiti a contatto con il partito. Era fuori casa dalla mattina alla sera, per lavoro, per intrattenere relazioni sociali, per partecipare alle discussioni di sezione. Mia madre, all'epoca professoressa di italiano, insegnava alle scuole medie di periferia. Insegnare alle medie (abbandonando la carriera universitaria) era una sua scelta ideologica ben precisa: portare la cultura come principale arma contro qualsiasi forma di oppressione. Anche insegnare in periferia, dovendosi alzare alle 6 per raggiungere in tempo la scuola, era una scelta e non un caso.
Anche io sono cresciuta a stretto contatto con i miei nonni.
Però, contrariamente a te, non ho mai avuto la sensazione di essere abbandonata o dimenticata. Non ho mai sentito di essere un peso e qualsiasi sensazione di essere uno zerbino veniva fugata proprio dai miei genitori.
Sarà perché stavano con me appena possibile, mi parlavano, mi addormentavano la sera, portandomi a volte alle cene, in sezione, alle feste dell'Unità.
Io mi sono sentita una bambina amata e ancora oggi trovo meravigliosi (anche se impossibili) quegli ideali, che mi venivano passati con ogni mezzo possibile (le mie ninnananne erano Urla il vento, Bella ciao, Sebben che siamo donne e via dicendo).

Questo per dirti che purtroppo la tua esperienza con il '68 non c'entra un granché.
Penso che i tuoi genitori non sarebbero stati presenti e responsabili comunque, e questo è sicuramente molto triste.
Un'esperienza personale, per brutto che sia, pesa pochissimo su un movimento intero, quello che conta è la percezione globale che si ha di esso.
Trovo giusto non idealizzare nulla e non assumere dogmi, ma il rispetto al movimento del '68 glielo dobbiamo.
Purtroppo il mondo non è cambiato affatto anche se, contrariamente a quello che credi, c'era molta gente brava a fare, oltre che a dire.

Nessun commento: